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Pit Bull Terrier:    chi è costui?
Una razza di cui si parla...e spesso, a sproposito. Vediamo di capire di più ripercorrendo le date salienti che ne hanno segnato la storia


Di American Pit Bull Terrier si è parlato molto negli ultimi decenni del secolo scorso. Si sono lanciate illazioni circa la sua indole aggressiva e, di conseguenza, il suo alto grado di pericolosità nei confronti dei propri simili e dell’uomo; si sono poi mossi in tanti, dalle associazioni animaliste fino ai deputati del Parlamento, per cercare di introdurre nuove norme legislative che in qualche modo ne limitassero se non addirittura proibissero l’allevamento; si sono infine schierate molte firme della cinofilia ufficiale per ribadire il loro "NO" a una razza che non gode ancora di un riconoscimento da parte della Federazione Cinologica internazionale.
Il tutto, dimenticando spesso gli stretti rapporti di parentela che il Pit Bull ha da tempo con razze oggi non solo accettate ma spesso anche enfatizzate. Un "vuoto di memoria" che solo la storia può colmare.

La storia di una razza
Le origini dell’American Pit Bull Terrier sono di fatto antiche e trovano le loro radici in quel gruppo di molossoidi impiegati dai guardacaccia nell’Inghilterra del Medioevo. Ci riferiamo al Bandog (detto anche Tydog) o all’Alaunt, cani tanto forti e possenti da riuscire ad atterrare e a bloccare il malcapitato fintantoché non sopraggiungeva il padrone. Prima ancora dobbiamo però citare quel variegato ceppo di cani da combattimento, dai Canes Pugnaces romani ai Pugnax Britanniae, che da secoli

avevano dato vita ai combattimenti nelle arene: non solo tra cani, ma anche con animali di ogni specie e mole.   D’altra parte fino ad almeno il XVII-XVIII secolo non si riesce a distinguere una razza dall’altra.
Colpa anche di quella ridda di nomi diversi utilizzati sostanzialmente per indicare uno stesso modello di cane: un molossoide, agile e forte, adatto a lottare.
Così per tutto il XVI secolo i cani da combattimento erano genericamente chiamati Mastiff, mentre nel secolo successivo viene preferito il termine Bulldog per indicare con maggiore precisione quel molossoide impiegato per la lotta con il toro. A complicare le cose sta il fatto che ogni regione della Gran Bretagna, culla di questo primo ceppo di cani, si adoperava da secoli per selezionare i soggetti più adatti alle specifiche esigenze del momento, incuranti di ogni forma di criterio che non fosse puramente utilitaristico.
Diventano allora frequenti gli incroci tra Bandog e Bulldog e poi ancora tra Bulldog e vari Terrier tra cui il Black and Tan Terrier. Proprio su quest’ultimo incrocio occorre però porre l’attenzione, perché rappresenta il nucleo dal quale trae origine il futuro Pit Bull.

Gli anni dei combattimenti
Siamo in pieno ‘800. Da poco i combattimenti tra cani, tori e orsi sono stati messi al bando in Gran Bretagna (1829) e il Bulldog rischia di ritrovarsi disoccupato. Proliferano tuttavia le arene clandestine dove in lotta erano cani contro cani. Per questo spettacolo, ancora fiorente, occorreva tuttavia un cane più agile e veloce. La famiglia dei Terrier rappresentava in questo senso un comodo bacino da cui attingere. Nasce così il Bull Terrier, un cane che a fine secolo si presenta sufficientemente robusto e agile, nonostante i suoi diversi colori e le varie pezzature tradissero le sue origini non certo pure.

Ci si trova così a fine ‘800 con due diversi tipi di cane nati entrambi dal Bull Terrier: il primo, adatto per le esposizioni, venne chiamato English Bull Terrier Bianco, e secondo il Pit Bull Terrier, la cui strada restava invece quella delle arene. Per comprendere meglio la strada intrapresa dal Pit Bull Terrier occorre tuttavia spostarci negli Stati Uniti.     Qui il Pit Bull Terrier, chiamato anche in questo caso con nomi differenti tra cui Bull and Terrier, Half and Half, Pit Dog, Yankee Terrier e altri ancora, giunse già nel XVIII secolo portandosi dietro tutta quella scia di diffidenza che in Inghilterra ne aveva segnato gli ultimi decenni di permanenza. "Fin dall’inizio", ha scritto Joseph Colby, allevatore di Pit Bull e autore del volume The American Pit Bull Terrier pubblicato nel 1936, "la razza ebbe una ingiusta reputazione dovuta alla sua abilità nel combattimento e alle caratteristiche del proprietario". A fianco di questi cani c’erano infatti personaggi non certo usciti dall’università di Oxford: pugili, osti e membri della confraternita sportiva. Persone insomma che vedevano nel combattimento tra cani una fonte di divertimento e di una pur discutibile forma di selezione delle qualità di forza e resistenza di questa razza. Tant’è che, tramontata la moda del pit (arena) nel Vecchio Continente - salvo sparuti casi di incontri clandestini - il Nuovo Continente diventa la seconda patria di questa pratica. La Police Gazette (1846-1932) diventa l’organo di comunicazione ufficiale dov’erano inserite le date e i risultati degli incontri, prima che il neonato libro delle origini americano e, l’United

Kennel Club (UKC, 1898) non cominciassero a pubblicare il Bloodlines Journal e a inserirci articoli e notizie sul combattimento tra cani.

I combattimenti nell’arena
L’arena stava cominciando a diventare scomoda anche per gli Stati Uniti. A New York, ad esempio, il combattimento tra cani venne proibito nel 1856, costringendo gli organizzatori a spostarsi in periferia. La stessa UKC poi, dopo la morte del suo fondatore C.Z. Bennet, incominciò a prendere le distanze dai pitmen, gli allevatori di Pit Bull da combattimento. Era tempo per un nuovo registro che accogliesse ufficialmente i nuovi nati di questa razza. Nasce così, nel 1909, l’American Dog Breeder Association (ADBA), e con essa l’unico libro delle origini ad accogliere solo cani di razza Pit Bull. Passavano gli anni e gli allevatori premevano per un riconoscimento dei loro molossoidi in modo tale da epurarli da quella patina di negatività a cui già accennava Colby. Così, nel 1936, l’AKC riconosce alcuni American Pit Bull Terrier dandogli il nome di American Staffordshire Terrier. Da allora in poi le strade si dividono per sempre. Lo Staffordshire, grazie al restyling politico offerto dall’AKC e poi dalla FCI, intraprese la carriera delle esposizioni; l’American Pit Bull Terrier, invece, continuò la sua strada dei combattimenti, ormai quasi del tutto clandestini. Si ottenne così una specie di clonazione dello stesso cane con caratteristiche, però, differenti: meno forte e resistente lo Staffordshire, in quanto ormai votato alle esigenze estetiche più che funzionali; sempre più agile e meno massiccio il Pit Bull, che perfezionava in questo modo secoli di selezione volta al combattimento per ottenere, come sottolinea Abramo Calini, titolare dell’allevamento Iron Dog Kennel, "la massima forza nel minimo di peso". In pieno ‘900, dunque, a fianco delle arene si sviluppa anche una nuova cultura del Pit Bull che lo vede protagonista finalmente positivo non solo a fianco dell’esercito statunitense ma anche come operatore di Pet Therapy.
Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

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